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Mamme italiane tutte, rallegratevi!

Ma come di cosa? Lunedì scorso è finalmente arrivato alla Camera il disegno di legge, approvato una decina di giorni fa dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, che prevede la possibilità di attribuire ai figli, in via esclusiva, il solo cognome materno.

Il meccanismo, in effetti, è un po’ contorto e dovrebbe funzionare più o meno così: alla nascita i genitori possono decidere quale cognome attribuire alla creatura, se quello paterno oppure materno o tutti e due (in questo caso in rigoroso ordine alfabetico); in mancanza di scelta, l’ufficiale di stato civile attribuisce al figlio, d’imperio, i cognomi di entrambi i genitori (sempre in ordine alfabetico); al raggiungimento della maggiore età, comunque, lo stesso figlio può liberamente scegliere quale cognome assumere (e, dunque, potrebbe mantenere o adottare anche solo quello materno). Nel caso abbia mantenuto entrambi i cognomi, però, potrà trasmetterne ai propri figli uno solo, a sua scelta (scelta dolorosa ma necessaria, perché, diversamente, nel giro di tre generazioni, la maestra impiegherebbe tutta la giornata scolastica solo per fare l’appello).

Ho qualche perplessità sulle aberrazioni burocratiche che questo sistema potrà generare (già ora che manteniamo un solo cognome per tutta la vita, ci ritroviamo in situazioni kafkiane ogni volta che perdiamo i documenti. Non oso immaginare cosa accadrà quando qualche figlio emancipato deciderà, sul più bello, di cambiarselo il cognome. Per non parlare delle tragedie familiari che si scateneranno al momento della scelta: “Ah, così hai deciso di tenere solo il cognome di tuo padre / tua madre? E io chi sono, scusa?”).

Ho pure qualche perplessità sui tempi che saranno necessari perché questo disegno di legge diventi legge vera e propria: si sa, i passaggi da un ramo all’altro del Parlamento sono spesso travagliati come dei parti podalici (senza epidurale) e, più di qualche volta, regalano finali a sorpresa. E, poi, comunque, si dovrà aspettare il regolamento di attuazione. E qui ci vorrà la pazienza di Giobbe, perché i regolamenti attuativi in Italia – qualsiasi cosa si tratti di attuare – sono notoriamente molto, molto lenti a vedere la luce. D’altronde, è comprensibile: a fare una legge siamo capaci tutti. Il vero problema (almeno in questo Paese) è capire come accidenti metterla in pratica.

Ma, scetticismo (e tempi tecnici) a parte, non siete grate ed orgogliose di questo traguardo? Non vi sentite, finalmente, più considerate, apprezzate e riconosciute nel vostro ruolo di donne e di madri?

Guardate che l’Onorevole Donatella Ferrante (presidente della Commissione Giustizia della Camera che ha steso il disegno di legge) è molto fiera di questo risultato ed ha trionfalmente dichiarato: «L’obbligo del cognome paterno è il simbolo di un retaggio patriarcale fuori dal tempo». Retaggio che ora, secondo questa donna illuminata, è caduto per sempre. Peccato che l’Onorevole non ricordi che questo grande atto di civiltà è stato frutto solo ed esclusivamente dell’ennesima pedata nel sedere che l’Italia ha preso dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo con una sentenza che, oltretutto, risale ormai a qualche anno fa (un po’, insomma, come se uno studente decisamente somaro si vantasse di aver finalmente preso la licenza media, dopo una serie inenarrabile di bocciature).

Ma – ribadisco – non sottilizziamo.

E, allora, com’è che vi vedo tutte così indifferenti? Com’è che, anche oggi in spiaggia, vi ho sentito parlare sempre delle stesse cose: i figli che vi fanno disperare, i mariti che latitano inesorabili, le bollette da pagare, la colf che vi ha piantato su due piedi?

Com’è, insomma, che nessuna, ma proprio nessuna, ha avuto un moto di gioia, di soddisfazione, di orgoglio materno?

Perché le vostre priorità sono ben altre, dite?

Perché, più che una legge che vi consenta di dare il vostro cognome ai figli, ne avreste preferito una che vi consentisse di mantenerli questi figli?

Vorreste più asili nido, magari a prezzi abbordabili e non che vi costino più del vostro intero stipendio?

Vorreste più tutele e più dignità sul posto di lavoro, senza correre il rischio, ogni volta che vi assentate per maternità, di ritrovare, al ritorno, la scrivania nello scantinato?

Vorreste più sostegno al reddito delle famiglie, un aiuto per sbarcare il lunario e pagare il mutuo trentennale che vi siete fatte per comprare la casa (su cui oltretutto dovete pagare l’IMU ed una sfilza interminabile di altri balzelli dai nomi ridicoli, ma dagli effetti devastanti sul vostro conto corrente)?

Vorreste, finalmente, un serio programma didattico, strutturato fin dalle scuole dell’obbligo, per educare davvero alla parità ed al rispetto di entrambi i sessi, perché sennò col cavolo che i retaggi di cui discorre l’onorevole Ferrante saranno superati?

Ma – signore mie – tutte queste cose costano!

E in Italia, ormai dovreste averlo capito, i soldi non ci sono. O, meglio: ci sono, ma servono ad altro. Servono per mantenere adeguatamente generazioni di politicanti maldestri e disonesti, ma straordinariamente longevi (e non vorrete mica buttarli tutti in strada, così, a quell’età?).

Servono per mastodontiche opere pubbliche di cui nessuno ha necessità e che mai verranno portate a compimento (ma queste imprese che vivono di appalti – e tangenti – dovranno pur continuare a lavorare, o no?).

Servono per organizzare elezioni con cadenza pressoché annuale (tra politiche, europee ed amministrative), i cui esiti non servono a nulla, ma proprio a nulla perché, tanto, via uno sotto un altro esattamente uguale a quello che se n’è andato (ma non vorrete mica privare il popolo italiano dell’esercizio del diritto di voto, primo baluardo costituzionale della democrazia repubblicana che tanto ci è costata?).

Capite bene anche voi, dunque, che ci sono altre esigenze, altre priorità, che in un paese civile come il nostro non si possono mica ignorare così, in nome dei bei principi come la famiglia, la parità e via discorrendo.

Sì, insomma, le riforme per le donne, i figli, le famiglie si possono anche fare. Purché siano a costo zero.

Se poi queste leggi non servono a nulla (se non a dar momentaneo lustro ai politici che hanno pure perso tempo a ragionarci su), se non risolvono i vostri problemi, se non vi danno alcun aiuto concreto e tangibile, beh, sono dettagli. D’altronde è come quando si va a fare la spesa: si sa che le super offerte ‘prendi tre paghi uno’, sono sempre una fregatura, ma è ovvio che sia così. Lo sapete bene anche voi. E’ la legge del mercato, dove tutto ha un costo e quel che non ha un costo non vale nulla.

Accontentatevi, dunque!

Come dite, ancora? Che quando nasce vostro figlio – più che per la scelta del cognome – siete preoccupate di sapere se riuscirà ad avere un futuro dignitoso in un paese dignitoso?

Eh sì, va béh, ma allora ditelo … ditelo che volete la luna!